Prime Esperienze
PRANOTERAPIA 4 (le beghine, seconda parte)
di Rosagiorg
23.03.2024 |
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Mi fece distendere ed a spegni moccolo si calò sulla mia verga, ben lubrificata dalla saliva dell’amica..."
Queste donne non me la raccontavano giusta! Prima mi avevano abbordato con occhiolini, atteggiamenti languidi, discorsi ambigui, poi si proclamavano custodi della morale e mi davano appuntamento dopo messa in casa della vedova; qualcosa non mi tornava.Le ore successive le passai in uno stato di agitazione, per me, inusuale: cosa volevano da me? Erano solo rose dalla curiosità? L’invidia, per quello che supponevano avessi fatto con la loro amica, le attanagliava? Desideravano provare il potere delle mie mami? O bramavano a tutto il mio corpo? Ormai alea iacta est, il dado era tratto.
La grande casa della vedova, una tipica villetta anni settanta, sorgeva un po’ discosta dalle altre della via, l’ampio giardino circondato da un’alta siepe di lauro ne celava quasi completamente la vista dalla strada. Per evitare l’imbarazzo della macchina parcheggiata di fronte, mi ero incamminato a piedi da casa mia; attraversando il parco pubblico avevo incontrato un conoscente che, pur liquidato con pochi convenevoli, mi aveva fatto accumulare un leggero ritardo. La targhetta sul citofono recava ancora il nome del marito, morto una decina di anni prima in giovane età. Con una certa esitazione schiacciai il pulsante.
«Stavamo cominciando a pensare che ci avessi mollato pacco,» mi accolse benevola la padrona di casa, «vieni accomodati, siamo tutte qui che ti attendiamo.»
Contrariamente all’aspetto, un po’ demodé, della casa vista dall’esterno, l’ampio soggiorno, dove fui accolto, era arredato con gusto e con complementi sicuramente più recenti della dipartita del povero consorte; l’ampio divano, che prendeva l’angolo opposto a dove mi trovavo io, era occupato dalle tre ospiti della vedova. Non potei non notare immediatamente che le quattro signore non erano vestite come ero abituato a vederle in piazza, niente di volgare, per carità, ma c’era una cura particolare negli abiti, nel trucco, nell’acconciatura, nell’abbinamento dei colori, che me le faceva apparire particolarmente attraenti.
«Cosa fai li impalato?» probabilmente era un termine di uso corrente della padrona di casa, «per cominciare, possiamo offrirti qualcosa?»
«Si, i vostri corpi!» esclamai; era inutile girarci tanto intorno, loro erano lì per me ed io ero lì per loro!
La mia affermazione perentoria fu accolta con un applauso di liberazione: «ci abbiamo messo un po’» intervenne la rossa, sollevando leggermente la gonna ed arricciandosi una ciocca di capelli, «ma noto che sei abbastanza perspicace.»
«Ci sono prima delle cose, però, da mettere in chiaro:» puntualizzò la mora, «prima fra tutte, che quello che accade qui dentro non deve assolutamente varcare la soglia di questa stanza…»
«A me lo venite a dire,» la interruppi io, «se siete riservate come la vostra amica…»
«No, no,» mi fermò la zia, «io ti posso giurare che a loro non ho detto niente, ma la confidenza e la vicinanza che abbiamo (e questo lo scoprirai più tardi) lasciano spazio all’involontario linguaggio non verbale che fa trasparire anche le sensazioni più intime. Sia chiaro che questa empatia non travalica il cerchio del nostro gineceo.»
«Ora posso continuare?» riprese la mora, «Punto due, lo sai, lo hai affermato anche tu, la nostra amica è assolutamente fedele a suo marito, quindi non ti è permesso di toccarla in alcun modo.»
«E cosa fa? La bella statuina, il pubblico non pagante?» ironizzai io.
«Il baffo, non considera tradimento i giochi saffici e i miei giocattoli,» puntualizzò l’interessata, estraendo dalla borsa i vibratori che avevo già visto a casa sua, «come io non considero tradimento i suoi giochi omosessuali, che, ti ricordo, anche tu hai avuto modo di sperimentare.»
«Allora significa che c’è un’altra persona a conoscenza del ménage,» mi preoccupai io, «poi viene fuori che c’è il fidanzato di una, lo zio dell’altra, il prete, il sacrestano…»
«Ti possiamo garantire,» chiuse la discussione la padrona di casa, «che non c’è nessun altro. Noi, te l’abbiamo detto, siamo le custodi della morale di questo paese, non possiamo assolutamente permetterci alcuna caduta. Avrai certamente notato il nostro abituale abbigliamento, le acconciature, l’assenza di trucco che ci fa sembrare delle vecchie senza più voglie…»
«Si, guardiane della morale, e poi sotto…» mi intromisi, «non sono moralista ma…»
«E poi sotto, è così che gira il mondo,» riprese lei «se devi conoscere il nemico lo devi frequentare. E poi di che nemico stiamo parlando? Il sesso è la bestia nera di tutti i bigotti e moralisti di cui è pregna la nostra società, di tutte quelle persone che non hanno mai assaggiato il vero piacere. Quando avevo il mio uomo facevamo delle scopate fantastiche…»
«Adesso non cominciare a rivangare il passato,» si intromise la mora, «altrimenti iniziano anche le altre: una col suo baffo, l’altra col pretino ed io …»
«Giusto, abbiamo ciarlato fin troppo,» prese l’iniziativa la rossa, mettendo mano ad un flacone, «siamo qui per testare il potere che emana questo ragazzo, io qui ho l’olio per massaggi ed ho già sentito un’incredibile scossa stamattina, quando gli ho preso la mano.»
Distratto e frastornato da questo profluvio di parole, non mi ero accorto che le signore ne avevano approfittato per far cadere a terra le leggere vesti…
Trovarmi di fronte le quattro donne nude, oltre ad un certo imbarazzo, mi provocò un’erezione da far esplodere la lampo dei pantaloni. La castana non esitò un attimo a liberare dalla prigionia dei blue jeans tanta grazia di dio.
Da svestite le signore non erano proprio male: una avevo già avuto modo di conoscerla approfonditamente ed in questa sessione mi era proibito toccarla. Le altre avevano ognuna un fascino particolare: la padrona di casa era una donna giunonica con grossi seni e culo importante (ma non grosso) ed un pube completamente depilato; la rossa aveva un corpo esile, quasi da ragazzina, che sfoggiava però un bel seno a coppa di Champagne ed un minuto triangolino di pelo color carota ad ornare la passerina; la mora era una tipica meridionale bassina ma con le ben proporzionate rotondità di seno e glutei ed una macchia di pelo nerissimo che spiccava sulla pelle olivastra.
«Vedo che sei già pronto, lancia in resta,» esordì la giunonica, «dobbiamo però provare il potere delle tue mani. Allora facciamo così: visto che di mani ne possiedi solo due, mentre ti dedichi a una delle mie amiche io mi occupo della tua asta.» E senza por tempo in mezzo si ficcò in bocca la mia cappella.
Anche i miei vestiti erano miracolosamente scomparsi ed ora mi trovavo carponi sopra il grande tavolo del soggiorno a massaggiare il delicato corpo della rossa, mentre la castana mi spompinava con foga. Nel frattempo le altre due si divertivano con gli oggetti che avevo già visto in uso a casa della zia.
Esordire con la signora col corpo da ragazzina mi stava aiutando a calarmi nel mio ruolo, mi sembrava di accarezzare una mia coetanea e questo mi toglieva d’imbarazzo. Mentre le mie mani scorrevano su quell’esile corpo, l’energia che scaturiva da esse faceva vibrare le sue fibre più profonde. Quando giunsi a sfiorarle i teneri capezzoli, un mugolio di piacere si levò sempre più intenso fino a diventare un grido. Spostai quindi l’attenzione al triangolino pel di carota ed all’umido tesoro che celava e lì le urla di piacere invasero tutta la villetta, distraendo quella che mi stava succhiando e le altre due intente a masturbarsi a vicenda.
«Però adesso tocca a noi!» reclamarono all’unisono le altre.
«Aspettate, aspettate, lasciatemi un assaggino del suo cazzo,» disse sospirando la mia prima cavia, «e poi sarà tutto per voi.»
Mi fece distendere ed a spegni moccolo si calò sulla mia verga, ben lubrificata dalla saliva dell’amica. L’esperienza mi confermò l’impressione iniziale: la fichetta era stretta come quella delle ragazzine che frequentavo ma, ben irrorata di umori, non opponeva resistenza alla profonda penetrazione. Da donna di esperienza capì quand’era il momento di mollare, arrivato ad una frazione di secondo dall’orgasmo, mi liberò dalla sua presa, era giunto il momento di dedicarmi alla giunonica.
Ora le mie mani erano riempite dalle enormi bocce della padrona di casa: «Troppa grazia Sant’Antonio» mi uscì da dire.
«Lascia stare i santi,» mi zittì lei, «almeno qui, le uniche cose sante sono le tue mani che mi trasmettono un’energia ed un calore che non avevo mai sentito. Ti prego continua, toccami, massaggiami dappertutto, scendi in basso, voglio sentire il tuo fuoco bruciarmi le viscere.»
Non mi feci pregare, lo scambio di energia era reciproco, l’eccitazione montava sempre più, coadiuvata dal sottile tocco della lingua della mora che, scambiato il posto con la rossa, aveva intrapreso l’opera di insalivare i nostri corpi.
Non avevo mai avuto occasione di poggiare le mani su ‘si tanta carne, la mia eccitazione e quella della mia sottoposta a trattamento, aumentavano proporzionalmente all’avvicinarsi delle mie mani al centro del suo piacere ma, come nelle esperienze precedenti, si manteneva al livello massimo, quello che precede di una frazione di secondo l’orgasmo.
«Voglio sentirti dentro!» gridò credendo di essere al culmine del piacere, «voglio godere come mai mi fu dato di provare piacere.»
La accontentai spostando il mio cazzo dalla bocca della mora alla sua depilata e accogliente caverna. Un intenso grido si levò nella stanza e, per un attimo, sembrò che tutto si fosse fermato. Invece le mie mani, scorrendo da un corpo all’altro, si erano spostate dalle grosse bocce della padrona di casa alle armoniose rotondità della mia leccatrice, facendola trasalire; lei nel frattempo, a cavalcioni della faccia dell’amica, che avevo preso a pompare energicamente, se la faceva leccare con gusto.
Anche le altre due si erano avvicinate e avevano preso ad affaccendarsi sui corpi delle amiche, toccate, leccate e oggetti vari passavano e penetravano i vari pertugi, con l’unica limitazione di colei cui non era ammesso toccarmi. Le grida della vedova, che invocava il mio nome, quello delle amiche e, financo, quello del defunto marito, furono soffocate dalla mora che si calò ulteriormente con la sua fica sopra la sua bocca dicendo: «Ora tocca a me!»
In un’ennesima rivoluzione mi ritrovai con la mediterranea stesa sotto di me e la altre, infoiate più che mai, che mi toccavano e leccavano dappertutto, mentre la zia era impegnata a soddisfarle con lingua e oggetti. Il tavolo del soggiorno era inondato di umori e non mi restava che l’ultima da scopare. Non avevo ancora fatto il pensiero che, con rapido movimento, si era infilata la mia verga ma, con mia somma sorpresa, mi resi conto che il buco non era quello canonico, ma l’altro: «Ehm, scusami, non ho preso la pillola.» si giustificò.
«Non c’è di che,» la rassicurai ironico, «non sono un conservatore, mi piacciono le varianti.»
Ormai avevo dato tutto me stesso a queste tre, più una, panterone affamate, con gesto plateale sollevai in alto le mani ed immediatamente scoppiò l’orgasmo collettivo fin lì così a lungo trattenuto, con copiosi flutti di sperma e di umori a bagnare, coprire e riempire pelle, corpi e bocche in una specie di comunione erotica dove le volgari essenze terrene, in una specie di transustanziazione laica, si trasformano in nettare divino.
«Ora abbiamo compreso il non detto della nostra amica,» disse ricomponendosi la padrona di casa «anche se avesse voluto, a parole, non sarebbe riuscita a trasmetterci quello che aveva provato e che oggi hai fatto provare a noi.»
«Ma non a me.» la interruppe l’esclusa.
«Lascia perdere,» intervenne la rossa «hai avuto l’anteprima, cosa pretendi?»
«Ed addirittura con due uomini,» sentenziò la terza, «a noi, un’occasione così non è mai capitata.»
«Ehi, calma, calma!» esclamai io, «siete delle brave donne di chiesa, avete voluto provare il peccato, io sono stato felice di essere stato il vostro padre spirituale; però adesso andiamoci piano, non vorrei diventasse un vizio, che quello si è un grave peccato.»
«Tanto il vecchio parroco è duro d’orecchi,» risero in coro, «ci confessiamo, ci fa dire quattro preghiere e poi si ricomincia…»
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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